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      XXV.
     
      A domar l'ànimo bellicoso delle nostre plebi contribuì un'istituzione che cangiava le arti in esercizio di penitenza. Prima ancora d'Ariberto (an. 1014), alcuni cavalieri milanesi andati in Germania prigionieri d'Enrico I, e nel tedio dell'esilio dàtisi a vita laboriosa, fècero voto di perseverarvi anche rèduci in patria. Il pòpolo li rivide con meraviglia nelle vie della città con ampie vesti pelose e berretti di straniera forma; si chiamàvano gli umiliati; e attèsero all'arte della lana. In breve èbbero trenta case d'uòmini e trenta di donne; si trapiantàrono in tutte le città d'Italia; Firenze deve loro quell'arte, che tanto conferì alla sua potenza. Fondàrono ricòveri nei passi delle Alpi; e d'ospizio in ospizio, difendèndosi col nome della religione dai rapaci castellani che intercettàvano le strade, contribuìrono a collegare l'industria di Milano colle piazze del settentrione e del mezzodì.
      Ma le austere opinioni insinuate per tempo nel nostro pòpolo fermentàrono in sette religiose, che annunciàvano la riforma della chiesa, del sacerdozio, della magistratura, delle pompe cavalleresche. Il più formidàbile tra i riformatori fu Arnaldo da Brescia, discèpolo prima in Parigi d'Abailardo, poi suo difensore. La contrita e rìgida sua vita faceva meraviglia anche ai santi (Homo est neque manducans neque bibens... habens formam pietatis... Cujus conversatio mel... cui caput columbæ. S. Bern.). - Quando il vèscovo di Brescia diede a un garzone di dòdici anni una ricca parochia, Arnaldo rinovò le querele che Arialdo Alciato aveva levate in Milano; inveì contro le famiglie, che vendèvano, infeudàvano, donàvano come cosa propria i beni della chiesa: contro il pastore, che dava in fèudo a cavalieri le regalìe della sacra mensa, per fàrseli vassalli, e adoperarli in imprese profane e crudeli: contro i beneficiati, che vivèvano con lusso mondano, e si tenèvano con tìtolo di spose le figlie dei potenti.


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Notizie naturali e civili su la Lombardia
di Carlo Cattaneo
1844 pagine 107

   





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