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      Non mi sono mai assorta sul ponte al chiaro di luna ad ammirare l'immensità del cielo e del mare. Per soffrir meno bisognava sdraiarsi prima di cominciare la digestione. Ed io levandomi da tavola correvo alla mia cabina, e mi mettevo a letto.
      Giunsi in America magra, debole e spoetizzata.
      Ebbi subito a studiare lo spartito che dovevo cantare. Però la voce si ristabilì presto, e quando andai in iscena ebbi un grande successo.
      Ma la corda dell'ambizione s'era spezzata nel mio cuore con quella dell'amore. Non c'è ombra di egoismo nel mio carattere. La gloria di cui nessuno gode per me, mi è indifferente.
      Que' serii yankee che mi facevano la corte, e mi parlavano d'amore, mi sembravano una goffa parodia del mio bel Gualfardo.
      Mi provai a ricevere un poco, e ad andare in società. Ma dove erano riuniti due uomini, era sicuro che s'udiva presto parlare d'affari. Mi annoiai a morte.
      E tuttavia il ritorno in Europa non mi sorrideva. Sentivo di esservi omai straniera, perchè nessun affetto mi vi richiamava.
      E poi avevo lo spavento di trovare Welfard ammogliato. Io avevo agito male con lui; si credeva tradito. Aveva ragione d'essersi allontanato da me. Ed omai erano trascorsi molti mesi dalla nostra separazione. Se si fosse ammogliato, io non avrei avuto nessuna ragione di biasimarlo; ma sentivo che non avrei avuto il coraggio di sopportarlo.
      Mi domandavo continuamente:
      A che serve la mia vita? A chi sono utile? A chi sono cara? Chi posso amare? Per chi studio e lavoro?
      E sentivo il vuoto, l'inutilità della mia esistenza, e mi facevo sempre più misantropa, e desideravo di morire.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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