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      Sopra un usciaccio mezzo scardinato e roso dal tarlo, benemerito della patria indipendenza, per avere nel 1848 dall'alto d'una barricata in un fiero combattimento difeso i Milanesi contro gli Austriaci, sta una vecchia ed affumicata lanterna a riverbero, colla fronte ricoperta di carta untuosa, su cui sta scritto Alogio pei forastieri. Nessun Russo, Tedesco o Francese pose mai il piede là dentro, tuttavia dal padrone di quella locanda, tutti gli avventori, che per lo più sono di Milano o dei dintorni, vengono qualificati per forastieri. Entriamo. Siamo in una legnaia. Una catasta di legna grossa a destra, un mucchio di fascine umide a sinistra, divise da un sentieruzzo; ce n'è più che non bisogni per dar l'idea ad un galantuomo del come dovesse stare il povero campione di frate Gerolamo Savonarola, nel momento che a tutto proprio rischio e per mero capriccio di quello, si proponeva di subire la prova del fuoco. Allo sbocco del sentiero v'è un piccolo spazio dove trovasi una tavola che si regge appoggiata al muro, perchè una delle sue gambe è fasciata, ed il coperchio ha un colore indefinito che è il risultato della polvere e dell'untume che da anni vi si va sopra accumulando.
      Al fianco della tavola sta una seggiola impagliata o dirò meglio che va spagliandosi; sovr'essa sta seduta la divinità del luogo una donnona corpulenta e grassa, con una faccia che sembra una meggiona, perdonatemi la similitudine un po' sporca, ma la prendo di peso dal Giusti, quantunque la non abbia di Veneranda nè la pulitezza, nè il placido sorriso.


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Milano in ombra.
Abissi plebei
di Lodovico Corio
Civelli Milano
1885 pagine 124

   





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