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      La scuola italiana dal Machiavelli al Romagnosi avea già le sue tradizioni, le sue opinioni stabilite. Una nuova scuola inaugurata da Carlo Troya metteva in discussione quei dogmi, confutava le dottrine meglio accertate. Il giovane Alessandro Manzoni era con questa. Si diè tutto agli studii storici, consultando le fonti primitive e immediate con animo libero da preconcetti e da immaginazioni. E insieme rifece la sua educazione letteraria, si pose in comunione intima con Goethe, con Fauriel, iniziò in Italia la nuova critica. Il gran peccato del secolo decimottavo era di aver profanata la storia, travisando i fatti, assoggettando la verità storica alle passioni politiche. E il gran peccatore era Alfieri, che avea nelle tragedie fatto così disonesto strazio della storia, generalizzando gli avvenimenti e collocando i personaggi fuori del tempo e del luogo. Da queste opinioni, da queste tendenze uscì una poetica, che ebbe una certa influenza sulla sua attività artistica, come si può raccogliere da' suoi Discorsi storici e critici, notabili per finezza d'analisi e per grazia di esposizione.
      La gran lite, dicevo, era intorno alla tragedia. E chi vuol vedere come Manzoni concepì la tragedia, vegga prima come l'aveva concepita Alfieri.
      Quando Alfieri compone la tragedia ha innanzi un tipo, mettiamo il tipo della madre, del tiranno, del ribelle, del patriotta. A lui poco importa, se questo tipo sia conforme, e sino a qual punto, con la storia; prende il nome, prende i fatti in grosso, come li trova, senza esame e investigazione propria, poi lavora lui, lavora d'immaginazione, mira a raccogliere nel personaggio tutte le qualità che possono rappresentare nella sua ultima potenza quell'ideale che gli fluttua nella mente.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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