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      Togliete questo e avrete le antitesi di Victor Hugo. Leggete l'ode del poeta francese e vi troverete non più sistemi di gruppi, ma concetti isolati, subbiettivi, la sua maniera particolare di considerare Napoleone. Allora l'antitesi diviene qualche cosa di cercato, di soprapposto, diviene vizio. Qui l'antitesi non appartiene allo spirito del poeta, Manzoni è il poeta più semplice d'Italia; ma è la natura stessa della cosa, è il naturale sviluppo di ogni sistema di gruppi. Dove sono gruppi, là avete rapporti, somiglianze, raffronti, antitesi, contraddizioni.
      Continuiamo ancora ad analizzare. In un genere tale di poesia fondata sopra una sola corda e sviluppata per via di raffronti, antitesi, ecc., che dev'essere la parola? Qui se la parola descrivesse o narrasse, se rappresentasse qualche idea accessoria, qualche ornamento soprapposto, non inerente alle cose, sarebbe la traditrice di questa concezione, di questa poesia. Avremmo dissonanza compiuta tra la parte elegante o pomposa o descrittiva o narrativa, e una concezione trasportata in regioni sì alte e fondata su di un sistema così speciale. Ma qui trovate una virtù che impressionò specialmente i critici francesi. Charles Didier mette quest'ode su tutte le poesie fatte in Francia, e non sapendo o non potendo andare addentro, la parola lo colpisce. Per mostrarvi che è questa parola densa, concentrata come l'immagine, perché tutto è qui lavoro di concentrazione, ricorderò quei versi:
     
      Oh quante volte, al tacitoMorir d'un giorno inerte,


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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