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      Nel quarto si ha la narrazione de' fatti accaduti dopo, il Senato fa venire a Venezia il Conte, e c'è un lungo dialogo tra Marco e Marino. Nel quinto atto è la catastrofe.
      Come si vede, tutto il dramma è vuoto di azione; vi sono magnifici discorsi; ma sono discorsi: nulla fa tanto danno alla rappresentazione di un dramma come il vuoto dell'azione. Oggi che i più mediocri scrittori sono pratici del teatro, vanno all'eccesso opposto, presentano una catena di fatti e di situazioni, sopprimendo quasi del tutto i discorsi. Ma, ripeto, nulla rende così fredda la rappresentazione come i discorsi: allora si ha ciò che dicesi la «stagnazione», sorge la disattenzione, la noia, la quale si sente anche nella lettura di uno di quelli. Spesso la s'interrompe, sorgendo il desiderio di correre a vedere che cosa vien dopo. Per l'eccellenza della poesia la lettura di que' discorsi del Carmagnola ci rapisce, ma nella rappresentazione ci sono finezze che sfuggono allo spettatore. Come volete che egli, quando si narra l'assalto di Verona, colga i fatti narrati, invece di averli sott'occhio? Egli prende le cose all'ingrosso, perché per colpirlo c'è d'uopo presentargli qualche cosa che operi, si muova.
      Nel Conte di Carmagnola dunque, la maggior parte è narrazione, vi sono discorsi più che azione. E vi è una curiosa singolarità. Manzoni vuol darci un dramma storico, e non si accorge che strozza il conflitto drammatico in un solo atto, riempiendo il rimanente di discorsi; il che se mantiene la parte, diciam così, «materiale» della storia, falsifica, fraintende la parte spirituale di essa.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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