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      Egli poteva dire in poche parole che cosa essi erano e perché avevan messo radice in Lombardia. Ma volendo persuadere che ciò che dice è storia, è cosa autentica, rompe il racconto e parla de' bravi, del loro modo di vestire, dell'influenza che avevano, delle leggi o gride che li riguardavano: porta i testi, cita i legislatori, spende insomma due pagine, producendo una digressione. Se le digressioni fossero brevi come questa e rare, non ci sarebbe male; ma trascinato dal suo mondo intenzionale, spesso Manzoni dimentica di scrivere un romanzo, di avere innanzi un mondo ideale inventato, arresta il racconto e vi dà interi capitoli storici destinati a compiere il quadro del secolo XVII.
      Quando entra in iscena Federigo Borromeo, gli è consacrato un capitolo; quando comparisce don Ferrante, c'è un capitolo intorno a' costumi e alle forme letterarie di quel tempo. Tutto questo è bello a leggere, e se mi si domandasse: - Vorreste voi, per l'armonia delle parti, sopprimere quei capitoli? - , risponderei: - No, perché l'esposizione è così animata, è fatta con tanto spirito, sa così impadronirsi dell'animo del lettore, che voi, se per l'impazienza di seguire il racconto vorreste correre innanzi, calmata quella, in una seconda lettura ci trovate tale attrattiva, che non avreste il coraggio di dire all'autore: togliete questo capitolo - . Ma rispetto alle leggi dell'armonia e della proporzione nella concezione artistica, evidentemente questo è un difetto: ma meno grave qui che in altri poeti dominati parimenti da intenzioni estranee all'arte.


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Primo) Alessandro Manzoni
di Francesco De Sanctis
pagine 420

   





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