Il delirio è uno stato breve in cui un'idea sola empie il cervello e, nascondendo il resto della realtá, lo porta al fantastico. In lady Macbeth, in Ofelia, il delirio è interessante, perché è un breve pezzo lirico inquadrato in una tragedia che desta interesse in tutte le parti. Che se per fondamento d'una lunga novella scegliete uno stato permanente di delirio, il soggetto è esaurito fin dalla prima pagina, e, non vedendo che un solo lato della situazione, siete costretti a sopprimere tutte le gradazioni, le ombre, tutto il rimanente che agita il cuore umano. Di qui la stanchezza. Per convincervene, vi darò un solo esempio, essendo troppo ampio l'argomento.
Il momento decisivo della novella è quando Ildegonda sa che Rizzardo è eretico, e si domanda che fará: ella è cristiana, sente che non può amare un eretico, eppure l'è impossibile togliersi dal cuore quella immagine; ed allora parla come v'ho giá detto:
Piomberò dal Signore maledettaNell'inferno fra l'anime perdute;
Se eternamente son teco abbracciata,
Non mi spaventa l'essere dannata.
Che avete qui? Un sentimento vero, un contrasto reale, ma reso con crudezza di colori, come da chi bestemmi: si fissano i contorni ad un sentimento cui uno non vorrebbe dare forma distinta. Quando nell'anima sono due sentimenti cozzanti fra loro, la natura non vuole che sieno messi fuori come due soldati armati l'uno contro l'altro, ma in guisa che, mentre uno si annunzia, l'altro vi si debba sentire.
In questa situazione è qualche cosa che ricorda Francesca da Rimini, e Zerbino ed Isabella dell'Ariosto.
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