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      Per entro ai fitti popoli,
      Lungo i deserti calli;
      Sul monte aspro di geli,
      Nelle inverdite valli;
      Entro le nebbie assidue;
      Sotto gli azzurri cieli.
      Dove che venga, l'Esule
      Sempre ha la patria in cor.
      Accolto in mezzo ai liberiAl conversar fidente,
      Ramingo tra gli schiavi,
      Chiuso il pensier prudente;
      Infra gl'industri unanimi,
      Appo i discordi ignavi,
      O fastidito, od invido,
      Sempre ha la patria in cor.
     
      È un motivo che vi dice il nudo fatto, senza impressioni, il fatto che parla da sé: quel patria ripetuto è l'espressione muta di dolce malinconia, propria del poeta. Quando egli si trova in tale stato che non si può chiamare ancora tempestoso, gli spiccian fuori di codeste espressioni nude di colorito, spoglie d'impressioni, come se non sentisse niente; e pure fa sentire tanto, perché ciò che fa impressione è la cosa in sé, e se egli volesse ricamarvi sopra farebbe come quel tale che credeva accrescere forza e maestá al detto di Cesare, allungandolo: Quid times? Caesarem vehis.
      Guardate, per esempio questi versi:
     
      Piú sul cener dell'arso abituroLa lombarda scorata non siede.
     
      È un fatto nudo, ma quanto non vi fa pensare quella lombarda che non ha piú la sua casetta e poco stante posava sulle ceneri di essa!
      Dante è maestro nel rappresentare questo stato dell'anima, come quando fantastica che alcune donne gli dicano:
     
      .... Che fai? non sai novella?
      Morta è la donna tua ch'era sí bella.
     
      Il capolavoro delle Fantasie è specialmente l'ultima. Il poeta immagina di essere nelle strade di Milano, dove incontra la madre di Silvio Pellico, vestita a bruno, piangente, che maledice allo Spielberg:


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La letteratura italiana nel secolo XIX
(Volume Secondo) La scuola liberale e la scuola democratica
di Francesco De Sanctis
pagine 590

   





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