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      Un nemico talor, dall'altro l'ebbe:
      Occhi s'io moro, e fia chi vel palesi,
      Perchè voi vivi abbiate lodi, ed ioGià spento, qualche onor, siate cortesi
      D'una lagrima vostra al cener mio.
     
      Mi piacque l'idea, e disegnai di farne un sonetto alla Fortuna, chiudendolo con un sentimento simile. Ed eccomi caduto di capo il diadema dell'umiltà, colla quale avendovi finora scandolezzato, voglio adesso edificarvi colla superbia; perchè, se il bello degli altri mescolato col mio, scade della sua bellezza, e non apparisce più bello, ognun vede che la vostra critica, condannando quel che non è mio, a confronto di quel che è mio, viene ad essere tutta quanta a mia lode; e così invece di bastonar me, avete bastonato il povero Tansillo, o per dir meglio, a me son tocche le bastonate, ed a lui è toccato sentirne il dolore. — Ma io non son contento, se non me ne date una cinquantina a mio modo tra capo e collo, e perchè possiate farlo con sicurezza di percuoter me e non altri, vi mando quest'altro sonetto, tutta mercanzia del mio povero fondaco. Direte che sono impenitente, e che non vi lascio ben avere, ma abbiate pazienza per questa volta. Accetto la mutazione del verso, cioè il de' miei guai in luogo e co' miei guai. E sappiate che così diceva da principio, ma poi lo mutai, e ora considerandolo meglio al lume delle vostre ragioni, lo restituisco all'esser di prima.
      Un caro abbracciamento al Priore, un altro al Conte Montani, e vi riverisco devotamente.
     
     
      LETTERA VI.
     
      Villa, 15 Settembre 1694.
     
      Al medesimo.


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Lettere inedite a Lorenzo Magalotti
di Vincenzo da Filicaia
Tipografia Nistri Pisa
1885 pagine 36

   





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