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      Vero è che le cose mie sono ridotte a segno, che bisogna ch'io mi getti al partito, e chieda limosina, il che non ho mai voluto fare non già per superbia, ma per non far getto della libertà e della quiete dell'animo. Voi mi direte che in simili materie il voto della necessità è il più potente di tutti, e che non occorre mettere in consulto quello che l'uomo è costretto di fare. Lo confesso ancor io; ma è gran consolazione d'un tribolato, il palesare i suoi guai ad un amico della vostra qualità per ricevere lume, affinchè il rimedio non riesca peggior del male. Perdonatemi dunque sig. Conte, e vi riverisco di tutto cuore. Arrivederci.
     
     
      LETTERA XIV.
     
      Villa, 8 Giugno 1695.
     
      Al medesimo.
     
      Eccomi a visitarvi colla mia libertà, che mi risponde alle rime, e mi rivede le bucce. Favoritemi voi di rivederle a Lei e di correggerla, come merita. Questi scazzonti propriamente non sono odi, e si ripongono piuttosto fra le poesie jambiche, che fra le liriche. Tuttavolta io gli chiamo così, lato modo, chiamateli poi voi, come vi piace. Dura tuttavia questo medesimo estro latino; e da che sono quassù, ho già imbastito quattro odi, e sono addosso alla quinta. Non c'è che dire, finchè spira buon vento, bisogna navigare. Ma non per questo mi scordo dei Buccheri. Un abbracciamento al priore, mentre sia tornato di Roma, e un altro al Contino, e se non son troppi questi abbracciamenti, un altro al sig. Marchese Alessandro.
     
     
      LETTERA XV.
     
      Villa, 17 Giugno 1695.
     
      Al medesimo.
     
      Ho letto e riletto con sommo gusto la vostra poesia la quale, oltre alla novità della bizzarra invenzione, mi pare molto bene e felicemente distesa e con evidenza tale, elle sarebbe difetto d'inescusabile ignoranza il non intenderla subito.


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Lettere inedite a Lorenzo Magalotti
di Vincenzo da Filicaia
Tipografia Nistri Pisa
1885 pagine 36

   





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