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      Il Petrarca in età di ventidue anni li perdette entrambi, e, non essendo più a lungo forzato allo studio per sostentarli, abbandonò ogni arringo legale e il traffico
     
      Di vender parolette, anzi menzogne.
     
      L'animo suo rifuggì dall'idea di far acquisto d'una scienza, che lo avrebbe ridotto al dilemma "o di divenire un ricco furfante, o di essere deriso dal mondo quale onesto pazzo che avesse concepito il vano disegno di conciliare insieme legge, beni di fortuna e coscienza."(14) Il giovanetto ebbe quindi ricorso all'abito da prete, non perciò perdonando al libertinaggio de' ministri di Dio; disprezzando le promozioni in una chiesa così contaminata, e lamentando e gemendo di non avere altra patria che la terra dell'esilio:
     
      Dal dì ch'io nacqui in su la riva d'Arno,
      Cercando or questa ed or quell'altra parte,
      Non è stata mia vita altro che affanno.(15)
     
      Essendo egli e poverissimo e di mente elevata, la desolante convinzione de' subiti rivolgimenti di fortuna, delle umilianti e spesso inutili cure e della finale vanità dell'umana vita lo trasse a fantasticare per mondi ideali, sclamando "che questo pure era vanità ed afflizione di spirito." Ruminare i suoi affetti e pascersi delle sue illusioni, fu prima ed ultima e perpetua sua cura. "I vicini lo miravano attoniti e sospiravano, pur benedicendo il giovanetto, taluni stimandolo maravigliosamente savio, e tali altri pazzo;" però che in gioventù il Petrarca sconfidò delle proprie forze; e sentissi così fuggir l'animo per l'immensità, incertezza ed insufficienza di tutto l'umano sapere, che fu in procinto di abbandonare le lettere per sempre, ed implorò consiglio da un amico più provetto: "Debbo io lasciare lo studio?


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Saggi sopra il Petrarca
di Ugo Foscolo
Carabba Editore Lanciano
1928 pagine 139

   





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