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      Ma, oltre la ragione di stato ecclesiastica, che rendeva quel poema un testo pericoloso a citarsi, la quantità di formole scolastiche, di giunture strane, di voci latine, e tutto insieme il tenore dello stile di Dante gli atterriva; e non vi fu modo che si persuadessero mai di giovarsene.
      Non è dunque difficile l'indovinare fra quante strette e con quale perplessità i primi critici si studiassero di trovare metodi a rimondare la lingua de' latinismi, idiotismi e sgrammaticamenti che prevalevano a' loro giorni, e le impedivano di divenire patrimonio letterario di tutta l'Italia. Il Bembo, imbevuto di purissima latinità, doveva studiare fin anche le sue lettere famigliari a guardarle da' latinismi; il che gli riescì quasi sempre: ma non potè fare che quanto ei dettò in italiano non ridondasse d'idiotismi veneziani, i quali, se non fossero stati protetti sino d'allora dall'autorità del suo nome, sarebbero stati poscia infamati fra' solecismi. Gli scrittori fiorentini anch'essi scambiavano riboboli per atticismi gentili. Aggiungi che mai non s'avvidero «Essere impossibile di ridurre a scienza atta a potersi insegnare e imparare il processo con che la natura converte in lingue letterarie i rozzi dialetti.» Così nella penuria d'autori che somministrassero osservazioni ed esempj, e di principj che insegnassero un giusto metodo, que' primi precettori della lingua ricorsero di comune consentimento alle Novelle del Boccaccio. Vi trovarono parole evidenti, native ed elegantissime, artifici di costruzione, periodi musicali e diversi generi di stile; e forse per allora non avrebbero potuto ideare espediente migliore a tante difficoltà. Il cardinal Bembo ad ogni modo si limitò ad osservare ogni cosa in quel libro con ammirazione, ma non convertì le sue opinioni in leggi assolute.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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