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      Noi crediamo di avere nell'epoca precedente applicata con sufficiente severità la censura a que' che veramente la meritavano; ma abbiamo anche veduto che la dittatura de' grammatici italiani s'arrogava di concedere celebrità a quegli uomini, che poscia il consenso di molte generazioni ha destinati a perpetua dimenticanza, e di negarla a quegli che hanno il merito di offrire a' posteri modelli permanenti di stile e di lingua, e indipendenti dalle scuole e da' capricci dell'uso. Fra questi è il Machiavelli, ma gli Accademici fiorentini deridevano chi lo lodava. Non è dunque meraviglia se gli uomini più dotati di sapere e d'ingegno continuarono a scrivere in latino, e si rimasero quasi a comporre una aristocrazia destinata ad amministrare i tesori della mente umana a pochissimi. Alcuni professori delle università, e specialmente quando Clemente VII coronò Carlo V a Bologna, perorarono perchè alla lingua italiana fosse inibito di parlare ne' libri - quasi che i decreti d'imperadori e di papi bastassero. L'avviso fu poi suggerito contro la lingua francese al cardinale Mazzarino, o fatto suggerire da esso, affinchè la dottrina della cieca obbedienza si perpetuasse sovra la razza europea. I begl'ingegni, invece di ragioni opposero epigrammi, e fecero da savj; perchè niuno si è più attentato di riparlarne. Ma Napoleone, mentre affrettavasi a quella sublimità che al parer suo precipita gli uomini nel ridicolo, impose che i professori leggessero nelle Università d'Italia in latino. Se non che le lingue non cedono nè prevalgono, se non per leggi invariabili della natura e del tempo, che le vanno procreando l'una dall'altra.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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