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      Era dunque verso la fine d'agosto quando pronto l'Esercito Meridionale sulla sponda sicula dello stretto di Messina, si disponeva a traversarlo.
      La vigilanza dei legni borbonici a vapore era immensa: le loro batterie sulla costa calabra, ben guernite di cannoni e d'uomini, protette da varii corpi di truppe sparsi nelle campagne circostanti.
      Una quantità di piccole barche, raccolte nei diversi porti della Sicilia, erano state dirette a Punta di Faro, per effettuare il passaggio. - Vi furono alcuni tentativi infruttuosi. - In uno però, condotto dai valorosi Missori, Nullo, Musolino, Mario ed altri prodi compagni, si assaltò uno dei forti principali della costa suddetta, e senza il timore d'una guida che s'impaurì alle prime fucilate, i nostri s'impadronivano del forte, e con questo si sarebbe agevolato grandemente il passaggio dell'esercito.
      La fortuna però doveva continuare a proteggere la giusta impresa, ed al ritorno del Washington dagli Aranci, il Dittatore s'avviò verso Taormina, ove il generale Sirtori aveva diretto due piroscafi per il Mezzogiorno della Sicilia - il Torino ed il Franklin. - Imbarcossi col generale Bixio la di lui Divisione e felicemente giunsero a Melito sulla costa meridionale della Calabria.
     
     
     
      CAPITOLO XXXIII.
     
      ROMA.
     
      De' vivi inferno!
      Un gran miracol fiaSe Cristo teco alfine non s'adira.
      (PETRARCA).
     
      Era il primo di settembre del 60, e verso le dieci antimeridiane una immensa folla brulicava dalla superba Basilica di S. Pietro, il maggiore dei templi del mondo.
      Sino al ponte Elio, oggi di S. Angelo, e dallo stesso in tutta l'estensione della Lungara - quella moltitudine per la maggior parte devota, non lo era al punto di sfidare i raggi solari, cocenti in quella stagione, ed in quell'ora, in cui la brezza marina non ha rinfrescato ancora l'atmosfera corrotta della capitale dell'Orbe Cattolico; tutti tendevano verso l'ombra delle case, ciò che a tutti non riesciva, per la qual cosa verso la parte del Tevere v'era proprio da soffocare, tanta era la calca.


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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero
1874 pagine 356

   





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