«Non si può dir con ragione che manchi di onestà quella donna, la qual si aggiunge con uomo per via di matrimonio; poiché in tale atto di generazione la necessità è madre naturale e la licenzia è figliuola legittima. E voi ben sapete che tutte le cose licite possono anco essere oneste; e se l’effetto del propagare è non pur onesto, ma licito e necessario, ben si può dir anco che l’uomo auttor e cagione di una onesta opera, così unito alla moglie, sia soggetto onesto e perciò non lievi parte alcuna a noi donne della nostra naturale onestà».
«Quanto a questa parte - rispose Cornelia - voi ci avete molto ben risposto, ma troppo cominciate voi a lodar gli uomini; il che è contra le leggi della nostra Regina; ed avvertiscovi, che voi perderete la causa, non pur per mancamento di ragione e di onestà, ma anco per disordine».
«Con tutto ciò - disse Corinna - ella non ha saputo inferir altro, salvo che l’uomo nel matrimonio, cioè unito alla moglie, ha qualche bontà in sé. Il che non niego, ma senza questo aiuto, si può dir che sia apunto come la lampada estinta, che da sé non è buona a nulla, ma appicatovi il lume, fa pur servizio alla casa; così se l’uomo contiene in sé qualche buon costume, lo ha dalla donna con cui pratica, o madre, o sorella, o balia, o moglie che ella si sia; che a lungo andare è pur forza, che egli prenda qualche buona qualità da lei. Anzi, oltra el buono essempio che egli ne cava, tutte le belle e virtuose azioni l’uomo acquista solamente per amar le donne; poiché stimandose indegno della sua grazia, s’ingegna con l’arte di rendersele grato in qualche maniera.
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Cornelia Regina Corinna
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