«Io son tanto satolla di questi vostri medicamenti - disse Leonora - ch’io per me vorrei esserne a digiuno. Parmi che mi augurate che mi abbia presto ad ammalare; di grazia, se non trovate cosa al nostro proposito, facciamo fine che egli è pur troppo lunga diceria».
«Se la lasciate dire - seguì Lucrezia - potria esser che ne trovasse alcuna, ma voi siete troppo fastidiosa, che ad ogni passo la interrompete».
«Orsù con questi patti seguite - disse Cornelia - ma mi dubito che sia di quelle promesse che si fanno a fanciulli, perché vadino volentieri a scola, le quali non s’attendon mai».
«La mirra, ancor essa - ripigliò Corinna - mista con lo storace calamita giova molto al petto e conforta lo stomaco alla digestione».
«Io in somma - disse la Regina - non so la miglior medicina per confortar il petto e lo stomaco, quanto il buon vino dolce e la malvagia moscatella; che ne dite voi altre?».
«Sì certo - dissero ridendo le altre donne - la malvagia è buona a digiuno così un pochetto per li stomachi deboli e frigidi».
«Allora - disse Corinna - ed il vino anco è ben ottimo, però a i sani e tolto misuratamente, massime il vermiglio ed il bianco, benché il bianco è ventoso, il negro è duro da digerire; ma bevutone troppo di che qualità esser si voglia, genera molte indisposizioni alla testa, alli nervi, gonfia il ventre, impedisce il digerire ed abbruscia il fegato».
«Sono di quelli - disse Cornelia - che fanno bollire dell’erbe nel vino che dicono giovarli molto».
«Si suole bollirvi del rosmarino - disse Corinna - che è ’l meglio di tutto ed in vero è cosa mirabile a molte infirmità».
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