«Mi fate ridere - disse Elena - con dire che gli uomini si burlino intorno a i nostri ornamenti, io per me non lo credo, più tosto penserei che si burlassero, se ci udissero favellare di certe cose ch’abbiano così discorso tra noi, di cui lor pare che non si convenga se non a loro il trattarne; che quanto a i nostri abiti e polizie non hanno essi da pigliarsi fastidio, come di cosa che è solo nostra propria».
«Quanto all’aver noi ragionato sopra diverse materie - rispose Corinna - non avriano anco essi da burlarsi, sì perché ne avemo parlato, anzi accennato, così a caso ed alla sfuggita e non per tenersi di saperne, sì anco perché possiamo ragionarne ancor noi come essi, che se ci fusse insegnato da fanciulle (come già dissi) gli eccederessimo in qual si voglia scienza ed arte che si venisse proposta».
«Io in somma - disse Verginia - ne ho udite tante ieri e ne odo tante oggi, di questi uomini, che son quasi convertita alle tante ragioni di Leonora e di quest’altre che mi hanno posto il cervello a partito, sì che penso di non voler altrimenti farmi soggetta ad uomo veruno, potendo star liberamente in pace».
«Non dir così figliuola mia - disse la Regina - che egli è forza che io ti mariti. Ben ti prometto che quando sia il tempo, cercarò tanto che vedrò di trovarti compagnia, con la quale tu viverai consolata; perché studierò di trovar uno nobile, savio e virtuoso più tosto che ricco, delicato e vagabondo».
«Deh, signora madre - disse Verginia - che io starò assai meglio con voi. E s’egli fusse superbo che farò io?
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Elena Corinna Verginia Leonora Regina Verginia
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