Ritrova Amor di sue vittorie altero;
Co ’l sembiante di Venere a lui gratoSe gli appresenta e copre il volto fiero,
E l’invita a posar, com’ella suole,
Nel suo perfido sen con tai parole.
Dolce mia speme, in così fervid’ora,
Che ’l sol ci offende e sei sudato e stanco,
Cessa di saettar, vieni a quest’ora,
E nel mio sen riposa il tuo bel fianco.
Le consente l’incauto e in grembo a Flora
Getta il bel corpo suo tenero e bianco,
E nel sen di chi offenderlo proponeLa bionda testa e innanellata pone.
Il sonno entrò ne’ begli occhi amorosi,
Che la fatica fa ’l riposo grato.
La brutta arpia, che i strali luminosiNella faretra ha visti al manco lato;
Perché ’l dolce Cupido a i suoi famosiNomi dia fine e più non sia pregiato,
Con l’empia, ingorda man, ch’egli non sente,
Gli la dislaccia e leva pianamente.
La gelosa Giunon tutta contentaCon la superbia allor si fece inante;
E perché sia d’Amor la gloria spenta,
Fé nascer ivi un monte di diamante,
In cui l’empia Superbia s’argomentaDi spuntar le saette invitte e sante.
E poi che ben l’effetto lor successeFuro al loco, ove tolte, ancor rimesse.
Sparir poi tutte e solo il bel Cupido
Lasciar fra fiori a canto alle fresch’onde.
Che poi svegliossi e con vezzoso gridoChiama la madre sua, che non risponde,
Stimando, che sia gita in Pafo o in Gnido
O in altro loco, più non si diffonde,
Ma spiega l’ali al ciel di più colori,
E torna ad impiagar mill’altri cori.
Il suo gran danno il misero non vede,
Che chiusi gli occhi tien d’un velo schietto.
E perché acuti i suoi strali esser crede
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