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      I comuni spogliati, al vedersi sommessi alla imposta fondiaria per vasti territori che non piú possedevano, reclamarono. Ma chi potea far dritto a quei reclami? Usurpatori erano i Sindaci, usurpatori i Decurioni, e de' titoli di proprietà posseduti dai comuni essi falsarono una parte, involarono un'altra, e parecchi che si trovavano in deposito negli uffici d'Intendenza sparirono ancora misteriosamente. Tutti questi fatti immorali corrompeano il cuore del popolo: se il popolo diveniva brigante, non eravamo noi a dargliene l'esempio? E di noi che rubavamo al comune 40 moggiate di terreno, e del brigante che rubava a noi quaranta pecore chi era il piú colpevole? Mille volte si tentò di rivendicare l'usurpazioni, ma invano: i Consiglieri che a ciò veniano deputati dall'Intendenze appartenevano, come diceva il popolo, alla razza dei cani barboni. Alloggiavano in casa degli usurpatori, e tra i pranzi fumanti ed i calici coronati dalle spume dello sciampagna chiudevano gli occhi generosamente e lasciavano che l'acqua corresse pure al suo chino. Al 1848 l'ira popolare fino allora compressa finalmente scoppiò. Le popolazioni guidate dai piú vecchi contadini ch'ivano innanzi portando in mano Crocefissi e Madonne irruppero nei terreni usurpati: illegale era quel procedere, e niuno il nega; si commisero atti di vandalismo, ed è verissimo; ma un dritto sacro ed imprescrittibile era in fondo a quel movimento, ed anche questo è innegabile. Che fecero gli usurpatori? Si giovarono della reazione borbonica ed accusarono come Comunisti e discepoli di Fourier i nostri poveri tangheri che si credevano trasportati nella valle degli incantesimi, quando il Giudice gravemente gl'interrogava: "Siete voi socialisti?


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Persone in Calabria
di Vincenzo Padula
Parenti Editore Firenze
1950 pagine 319

   





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