Al termine della seconda rampa, innanzi di arrivare alla terza porta, era stato scavato nella roccia un fosso, cui si traversava su ponte levatoio e si colmava di acqua mercè la grande cisterna esteriore della corte. L'ultima porta immetteva sur un vasto spianato, che dava sul principio del burrone, in un angolo del quale, quello che guardava il Vico di Canossa e le rampe, elevavasi il vasto edifizio. Al castello atteneva un piccolo cenobio con sei celle per sei frati benedettini, di cui capo era il Donizone che le serviva un po' di tutto. Tra il cenobietto ed il castello eravi un cortile con impluvio, un orto, poi le cucine. Si entrava nel castello per un vestibolo. All'angolo mattina del castello torreggiava sul burrone un'immensa rocca quadrata, e quivi si trovavano le prigioni e la cappelletta, dedicata a S. Apollonio, a cui scendevasi per qualche gradino. Ornavano la cappella colonne di marmo rosso che ne sostenevano la volta. Le mura, ossia le rampe, erano guarnite di merli, di bastie, di grossi mangani da lanciar pietre. Così che quel castello non poteva levarsi d'assedio, per poco che fosse provvisto di scorte e di uomini, per quanto grosso fosse il numero degli assediatori. Ed infatti Ottone tre anni vi fece consumare al re Berengario, quando volle ghermire Adelaide vedova di Lottarlo, nè il prese. Imperciocchè Adelaide chiamò in suo soccorso Ottone re di Germania, che la liberò, la sposò - e con questa unione fuse nella sua casa il regno d'Italia. Alla morte di Goffredo di Lorena, marchese di Toscana, e di Beatrice sua moglie, Matilde, figlia di costei e del primo marito Bonifazio, riunì l'immensa eredità dell'antico marchesato di Toscana a quella della casa di Canossa, e divenne sovrana del più grosso feudo d'Italia.
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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano 1864
pagine 522 |
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