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      E nè i Romani cedevano, nè quei del duca stancavansi, avvegnachè considerevolmente menomati; tal che forse in Roma avrebbero trovata la tomba se più a lungo fosse durato il giorno.
      Ben Hamed però, vedendo che non si sarebbe venuto mai a capo di domare gli ostinati Romani, immaginò distoglierli dalla difesa, e comandò ai Saraceni d'incendiar la città. Non appena l'emiro aveva profferito l'ordine, che questi distribuironsi a piccoli gruppi, inondarono i quartieri, e coadiuvati dai Calabresi e dai Pugliesi, già rotti al saccheggio, appiccarono fuoco a più punti di Roma, e segnatamente a San Giovanni a Laterano. Il vento, mosso da poco, aumentò le fiamme e le propagò. Sicchè, in brev'ora, quanto ergevasi dal Laterano al Coliseo è tutto ridotto in cenere. I Romani allora, per salvarsi dal fuoco e spegnerlo, lasciano di osteggiare la truppa del Guiscardo, e quei soldati, non avendo più a difendersi, si sciolgono ad ogni maniera di rapine e di sacrilegii, non rispettando tempii, non chiostri, non l'onore delle donne, non l'innocenza dei fanciulli, non la canizie dei vecchi. Roma mutasi in sentina di ogni delitto e di ogni oltraggio al pudore ed alla religione.
      Gregorio intanto, come Nerone, dall'alto delle torri di Castel Sant'Angelo contemplava l'esizio e la mina della sua città.
      Ritto fra due merli di una torre, immobile come fosse pietrificato, l'occhio fisso, le braccia tese ed irrigidite, il capo scoverto, perchè un buffo di vento gli aveva portato via il berretto, i capelli delle tempie rizzati come fili di argento, la lunga barba arruffata ed inturbinata dalla brezza, e' sembrava quivi non un uomo ma il ministro di quelle divinità egizie ed indiane il di cui sguardo è incendio, il di cui alito è peste, il di cui gesto è sterminio.


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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano
1864 pagine 522

   





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