Mandammo perciò a chiamare un chirurgo che gli cavasse sangue; e, poiché il delirio continuava, gli furono applicate le mignatte. I sintomi, anzi che diminuire, s'erano aggravati, quando il medico tornò la mattina di buon'ora.
Desiderò un consulto, che fu tenuto, e nel quale fu deciso che si continuassero i salassi. Cesare fu subito salassato per la terza volta, e da capo nel dopopranzo. Il povero malato, dopo ciò, ebbe un sollievo di poche ore: la malattia era una febbre cerebrale.
Per cinque giorni e cinque notti la sua vita fu attaccata a un filo. Eccetto pochi intervalli, era in uno stato di continuo delirio. Lo perseguitava un'idea fissa, un lavoro impossibile a farsi, e la rabbia del suo principale per non averlo fatto. Io avevo steso una materassa sul pavimento a pie' del letto, e di tanto in tanto mi ci stendevo, quando non potevo più reggermi in piedi. Non avevo ancora assistito ad una malattia grave; e la fosca fantasmagoria della camera di un infermo, con quelle cortine tirate, quella luce fioca, quelle domande sotto voce, quella spaventosa immobilità, quegl'improvvisi movimenti anche più spaventosi, erano per me una terribile novità. Chi non ha mai vegliato al letto di una cara persona in pericolo, non sa che cosa sia soffrire.
Io ero già passato per tutte le possibili vicende della speranza e del timore, quando la mattina del sesto giorno il medico, dopo fatta la visita, tentennando la testa, ordinò i Sacramenti. Era una sentenza di morte. Morire! Il mio Cesare, il mio fratello, il mio compagno amatissimo!
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Sacramenti Cesare
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