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      Non c'era bisogno di mandato per mettere in prigione un cittadino. Il Governatore, il Comandante, il Direttore di polizia, l'Avvocato fiscale, il Giudice di Mandamento, il Sindaco, i Carabinieri, fino all'ultimo poliziotto, ognuno aveva il diritto di arrestare. Ma se era facile entrare in prigione, difficilissimo era l'uscirne. Un prigioniero poteva oggi esser messo in libertà per ordine del magistrato, e domani per un capriccio del Governatore, del Direttore di polizia, del Comandante, di nuovo arrestato. Un fatto fra mille. La Marchesa di *** intimò un processo contro il Sindaco e il Consiglio della borgata di Pecetto per un atto di violazione di proprietà. Il Senato, la più alta corte giudiziaria, non convenne nelle ragioni della Marchesa, e assolvette gl'imputati. Questa sentenza parve un insulto agli occhi della famiglia della marchesa, che era assai potente ed aveva in corte degli amici. Un bel giorno, il Sindaco ed i Consiglieri di Pecetto furono arrestati e tradotti nelle carceri di Torino. L'avvocato che li aveva difesi innanzi al Senato, andò in fretta dal Direttore di polizia per dargli lettura del decreto senatorio di assoluzione. Il Direttore gli rispose sorridendo: "Il Senato ha giudicato bene, ma io ho fatto meglio" e licenziò senz'altro l'avvocato. I prigionieri non furono liberati che quando piacque alla marchesa, e furono costretti a promettere "che per l'avvenire si sarebbero condotti da uomini onesti e col santo timor di Dio e dell'uomo".
      Il segreto delle lettere era costantemente violato come cosa affatto naturale, senza neanche darsi la pena di nasconderlo.


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Lorenzo Benoni ovvero scene della vita di un italiano
di Giovanni Ruffini
pagine 471

   





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