Questo io vidi, e non ho dimenticato più le mani storpie del frate. Fu un altro caso più grave, perché avvenne nella milizia. Francesco Angellotti uffiziale, Cesare Rosaroll e Vito Romano sotto-uffiziali de’ cavalleggieri della Guardia congiurarono di uccidere il re in una rassegna. Furono uditi ragionare tra loro il Rosaroll e il Romano, e furono denunziati dal sergente Paolillo: essi sentendosi scoperti e perduti, per non avere tormenti, deliberarono d’uccidersi l’un l’altro con le pistole: al colpo il Romano morì, il Rosaroll ferito sopravvisse, e fu giudicato e dannato a morte con l’Angellotti. Si richiedeva un grande esempio per la milizia: i due giovani condotti sino al patibolo, e sentita tutta l’amarezza della morte, ebbero grazia del capo e furono mandati in galera. L’Angellotti nel 1839 tentò fuggire dal bagno di Procida e fu ucciso. Cesare Rosaroll nel 1848 moriva colonnello a Venezia combattendo per la causa d’Italia. Mostrò tanta prodezza che fu chiamato l’Argante della Laguna: innanzi al patibolo, e sul campo di battaglia ebbe cuor di lione: chi lo conobbe non poté non amarlo, né può non ricordarsene con affetto10.
Le carceri, le torture, le tradigioni e i soldati che percorrevano il regno in colonne mobili, non impaurivano gli arditi, né impedivano si cospirasse. V’erano in Napoli alcuni uomini generosi, colti, ed accorti, che amici tra loro, si strinsero come in un gruppo, e divennero centro di tutte le cospirazioni. Essi erano il barone Carlo Poerio, il marchese Luigi Dragonetti, Matteo d’Augustinis, Pier Silvestro Leopardi.
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