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      Ma io, a dire il vero, tenevo quella giovane Italia, come una faccenda mezzo letteraria, un’opinione che bisognava nascondere sì, ma che in fine non era altro che un’opinione della quale se fossi stato io al governo non avrei avuto paura. Pure venne un’occasione per la quale io credetti di adempiere ad uno dei doveri della setta, quello di esercitarmi nelle armi; e fu questa.
      A consiglio del ministro Delcarretto, e per fare un po’ di pallida imitazione a la Francia che allora aveva la guardia nazionale, si formò nella sola città di Napoli un guardia cittadina, ché non ve n’era affatto, mentre ogni paesello aveva la sua guardia urbana. Nella guardia cittadina furono chiamati nobili, borghesi, professori, mercanti, possidenti, e bottegai grassi: si ebbe una bella divisa verde, e permesso di tenere in casa le sole armi bianche, il fucile no, che lo dava il governo per gli esercizi e le mostre, scarico e senza munizioni, e così netto lo dovevi restituire prima di tornartene a casa. Dice Tacito che quando un principe è mal visto ei fa male quel che ei fa. Questa guardia cittadina fu un bene, e molti se l’ebbero come una male e ne sparlavano. Io ricordavo che la guardia cittadina nel 1806 e 1815 salvò Napoli da la plebe che ne meditava il saccheggio; dicevo che giovava sapere come si trattano le armi e dove stanno riposte per pigliarcele al bisogno; e di buon grado ne feci parte anche io, e andavo a le riviste e agli esercizi ogni domenica. Quando mi vedevo fra tanti armati e col fucile in mano, mi sentivo avvampare il viso, palpitare il cuore, e pensavo: “Che ci vorrebbe ora? un volere, e saremmo liberi.


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Ricordanze della mia vita
Volume Primo
di Luigi Settembrini
pagine 271

   





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