Quando Ferdinando I d’Aragona invitò i baroni a una festa in questo castello, e qui li fece prendere e chiudere in carcere, e poi nella notte di Natale gettare in mare ed affogare, si sparse fra il popolo che i baroni scomparsi erano stati divorati dal coccodrillo. La memoria di questo fatto rimane ancora, e fece chiamare del coccodrillo qualunque carcere del castello. Se questo fu antico non si sa; ma egli è certo che gli sventurati baroni nella vicina torre di San Vincenzo furono tenuti ed annegati.
In questo sotterraneo noi fummo assaliti da una schiera di grossi e vecchi topi, dai quali ci difendemmo col gettare ad essi le reliquie del nostro pranzo, e vedevamo la guerra che si faceva fra loro per chiapparle. La notte non si dormì perché non c’era dove poggiare il capo, e i materassi stavano sopra un tavolato, dove i topi ballavano. Si passò fumando: e io ebbi brividi di freddo e febbre. Il mattino appresso col custode discesero in quel criminale mio fratello Peppino, e Rosario Anastasio fratello di Raffaele ed uomo di ottimo cuore e avevan le facce come due cadaveri. “Oh, che cosa è? noi stiamo bene, e ci divertiamo coi topi. Finalmente qui non si starà che una decina di giorni: noi siamo abituati a tutto, e staremo anche qui, ma Luigi è ammalato, e può aggravare. Chiedete che sia messo col Ricciardelli nella stanza del custode.” “No: se non usciremo tutti di qui, io non uscirò io solo.” “Ma tu sei ammalato”. Peppino e Rosario andarono dal procurator generale il quale ordinò in iscritto che io passassi nella stanza del custode, e gli altri in altra stanza che si potesse avere dal comandante del castello.
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