Re Ferdinando volendo impedire i duelli che allora si facevano assai spesso fece una legge severissima che li puniva, ed i primi colpiti dalla nuova legge furono questi gentiluomini. Essi erano Carlo Davalos, che poi divenne marchese del Vasto e di Pescara. Francesco Carrano, che combatté da prode a Treviso e a Venezia nel 1848 ed ora è generale, e Silvio Duroni: il quarto Francesco Spinelli perché minore d’età fu condannato a sei anni di reclusione ed era in altro carcere. Stettero questi signori due anni in carcere, e non poterono aver grazia, e per loro la chiedevano persone di illustri famiglie: il Re volle che essi andassero nel bagno di Pozzuoli, vestissero le vesti di galeotti, e con la catena al piede, e così gli chiedessero la grazia quando egli andava a Pozzuoli, e solo così l’ottennero. Volle non pure punirli, ma umiliarli.
Fra i preti c’era un vecchio chiamato zio Natale, che era stato in galera vent’anni per omicidio. Questi pareva un uomo piacevole, rideva sempre, ma era stato un crudele, e raccontava ridendo i colpi di coltello che aveva menati.
Il suo cibo quotidiano non era altro che pane e un fiasco di vino: e quando aveva quel fiasco se lo poneva al petto sotto il soprabito, e camminando come un gatto sorridendo ed ammiccando a chi incontrava, se n’andava in camera, si poneva accanto al suo letto e diceva: “Va, diciamoci ufficio”. L’ufficio era il fiasco, che egli baciava e ribaciava lentamente, e quando l’aveva votato entrava in letto e s’addormentava. C’era ancora un frate cappuccino, padre Vincenzo da Ferrandina, un omaccione con una testa di cavallo, e la mascella inferiore stranamente grande, e una voce come una campana: non aveva delitto alcuno, ma una fame di lupo, per la quale era venuto a fiere contese coi suoi frati, e li aveva battuti, e se li avrebbe divorati, e però era in carcere.
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