Il Del Carretto fu come percosso da un fulmine, chiese di parlare al re, gli fu negato, dovette immediatamente così come si trovava montar sul vapore il Nettuno e partire. Andò a Livorno, e lì il popolo trasse al porto, e con alte grida maledicendolo e chiamandolo a morte, negò acqua e carboni, e lo fecero partire. A Genova fu peggio; alcuni balzarono nei battelli per assalirlo e prenderlo; e il capitano temendo per sé ed i suoi marinai voltò subito la prua, e partì. Tornò a Gaeta, e dimandò al re che dovesse fare d’un uomo cacciato da tutte le terre d’Italia: fu risposto, lo gittasse in Francia. Andò a Marsiglia, dove anche grida e maledizioni, ma dopo due giorni sbarcò di notte presso al lazzaretto, e si nascose in una villa presso la città. Questa fine ebbe la potenza e l’ambizione di Francesco Saverio Del Carretto: pagò egli per tutti.
Intanto si aspettava con impazienza lo statuto, che il Bozzelli compilava per incarico avuto dal re. Ognuno se lo immaginava secondo le sue voglie, ed alcuni scrissero improvvisamente e stamparono proposte di statuti, e le portavano attorno, e te le davano a leggere, e dimandavano: “Che ve ne pare?” I vecchi dicevano non c’essere bisogno di nuovo statuto, bastare quello del 1820 con qualche leggiera mutazione, così affermarsi non caduti mai i diritti della nazione, così fare i siciliani che volevano non altro che la costituzione del 1812 accomodata ai tempi ma dal parlamento non dal re. Il giorno 10 febbraio fu sottoscritto dal re lo statuto, fu pubblicato il giorno 11. Io ne portavo in mano una copia, un omaccione Matteo V... me la chiese, e avutala salì sovra una panca innanzi ad un caffè, e cominciò a leggere con una voce di campana: il batter delle mani, gli applausi, i cementi, i no, i sì, furono molti: io vedevo ed udivo di lontano.
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