Ecco si sparge che il Saliceti vuole la repubblica, ecco battere i tamburi l’allarme per tutta la città. Si raccoglie la guardia nazionale, le milizie escono armate dai quartieri e si schierano su le piazze: tutti temono oscuri pericoli. Taluni uffiziali della guardia nazionale propongono di andare innanzi la reggia, e di gridare: “Abbasso il programma Saliceti, viva lo statuto, viva la Camera de’ pari”: la guardia nazione non vuole, ed ebbe senno, perché sarebbe nato un conflitto. Quel bollore si acchetò: ma tutti erano stanchi, tutti sentivano il bisogno che cessasse quel disordine, quel tumulto continuo che si diffondeva nelle piazze, nelle case, e persin nella reggia, tutti volevano un governo pur che fosse, un ministero che facesse cessare quella stomachevole anarchia. Il buon Troya chiamò altri, e dopo molte chiacchiere compose un ministero così: esso Troya, presidente del consiglio, il marchese Luigi Dragonetti, agli affari esteri, Giovanni Vignali a grazia e giustizia, il generale Degli Uberti ai lavori pubblici, il generale Raffaele del Giudice alla guerra e marina, il conte Pietro Ferretti anconitano, alle finanze, l’avvocato Giovanni d’Avossa all’interno: pochi giorni dopo, in luogo dell’Avossa ammalato, fu Raffaele Conforti, all’agricoltura e commercio il giovane professore Antonio Scialoia, all’istruzione pubblica Paolo Emilio Imbriani, agli affari ecclesiastici l’avvocato Francesco Paolo Ruggiero. Il re accettò tutti questi ministri, ed il loro programma pubblicato il 3 aprile, ed era questo: “Il censo de’ deputati eguale a quello degli elettori; poter essere deputato ogni uomo di capacità anche senza censo; i collegi elettorali proporre i pari, il re sceglierne cinquanta; le due Camere di accordo col Re avessero facoltà di svolgere lo statuto massime riguardo ai pari; inviare ministri per stringere la lega italiana; mandare subito un grosso nerbo di milizia a la guerra contro l’Austria, incontanente un reggimento per mare: i tre colori alle bandiere; affrettare l’armamento della guardia nazionale; mandare commessari ordinatori nelle province”. Il re lesse e rilesse molte volte il programma, ad ogni articolo fece difficoltà protestando sempre che egli era per mantenere lo statuto, e alla parola svolgere fece molto rumore, la ricercò nel vocabolario, disse che quello svolgere significa mutare, e che egli non voleva né poteva mutar niente; discusse un pezzo, uscì più volte della camera dove si
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