I deputati, raccolti nella gran sala di Monteoliveto, consigliavano, parlavano, mandavano messaggi al ministero: e il ministero mandava or questo or quel ministro ai deputati con una nuova formola, che non era accettata. Nelle vie tutti parlavano, discutevano, ed era un andare, un venire, e talora grida e minacce. Io diceva tra me: “Si verrà al partito più semplice, non giurare, e finiranno tutte queste voci”. Ero stanco di lavoro, di noia, di disgusto, mi sentivo un brivido di febbre, andai a casa, mi misi a letto, e mi addormentai.
Il mattino del 15 all’alba mi levo, odo un rumore sordo, che è? Stanotte hanno fatte le barricate. Prendo un fucile che avevo in casa ed esco. Innanzi al palazzo d’Angri in via Toledo incontro Giovanni la Cecilia che fuma e trascina una sciabola turca, gli dimando: “Che cosa è questa?” “Non vedi? la rivoluzione.” “Ma che rivoluzione?” Egli passò oltre, e non mi rispose, e forse gli parvi sciocco. Giungo al largo della Carità, e vedo una barricata presso al palazzo del Nunzio, e giù di lontano ne vedo un’altra, e mi dissero che ce n’erano altre, una a Santa Brigida, e un’altra fortissima a San Ferdinando. C’era molta gente, e tutti armati e chi in divisa di guardia nazionale, chi in nero abito e nero cappello calabrese, facce sconvolte, diverse favelle e strane. “No,” dicevano, “le barricate non s’hanno a disfare, e chi le tocca è un traditore, ed io gli tiro come a traditore.” “Le truppe stanno pronte innanzi palazzo reale, e aspettano l’ordine di Ferdinando.
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