A questo discorso nessuno si commosse, salvo il duca che era sudato per aver letto; nessuno disse una parola. Dei centosessantaquattro deputati furono presenti solo settanta: dopo qualche giorno furono ottanta, ed elessero presidente l’avvocato Domenico Capitelli, vicepresidente Roberto Savarese. Fecero la risposta al discorso, e con temperate parole chiesero cambiamento di ministero, guerra per l’indipendenza italiana, leale esecuzione dello statuto. Furono tutti unanimi i centocinque deputati presenti ad approvare questa risposta, e dodici la portarono al re, che non volle riceverli, e li fece andar via, e vietò ai ministri di intervenire alle tornate della Camera.
La Camera dei pari si riunì più tardi, ai 19 di luglio, e fece anch’essa la sua risposta nella quale ringraziava il re per l’ordine che aveva ristabilito, e prometteva il suo aiuto per l’avvenire. Il solo principe di Strongoli, generoso vecchio, osò levare la voce e dire che la nazione nominando gli stessi deputati aveva già condannato il governo, che il non aver mantenuto le promesse fatte nel programma del 3 aprile aveva prodotto il 15 maggio e la rivoluzione di Calabria; che era stato un errore grave richiamare le soldatesche dalla Lombardia; che pensassero i ministri, essendo repubblica in Francia, ad unire e salvare la monarchia in Italia. Il buon vecchio fu lodato da una parte, vituperato dall’altra, e poi costretto ad andare in esilio: quelle sue parole furono le sole che fanno ricordare la Camera dei pari.
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