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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   affettuosa. Esse non si vedevano d'ordinario durante la settimana ; e, perciò, la domenica, avevano sempre qualche cosa da dirsi. Ciascuna di esse parlava soprattutto di quello che servisse meglio a mostrare il benessere della propria famiglia e fosse capace di destare invidia nel cuore delle altre. I discorsi più frequenti si aggiravano sulla qualità e quantità delle minute provviste di casa che ciascuna allestiva, e variavano secondo le stagioni. E si vedevano, ogni tanto, accendersi negli occhi e nelle gote vivi lampi di gelosia, mentre la bocca tentava malamente di sorridere. D'inverno, si parlava di salsicce, prosciutti e mortadelle; d'estate, di conserva di pomodori, di fichi secchi, di lino e biancheria. Qualche volta, la schiera domenicale che proveniva da Colledara basso, dovendo, come ho detto, passare, per andare a messa, davanti a casa nostra, era costretta a subire lo spettacolo doloroso di una vera esposizione di vassoi di fichi e di conserva di pomodori, che seccavano al sole in una specie di piazzetta davanti la casa. Ma quei cuori amareggiati così crudelmente trovavano subito modo di vendicarsi; per altro, sempre tra sorrisi, serbando sempre un tono di deferenza rispettosa.
   Arrivate alla chiesa, le signore andavano subito dentro e si disponevano nelle panche di loro proprietà. I contadini non avevano panche: la panca era un segno di distinzione, e appariva col primo apparire dell'agiatezza. I contadini restavano in ginocchio per tutto il tempo delle funzioni: le donne con tutti e due i ginocchi; gli uomini, per lo più, e specialmente gli zaotti, con un ginocchio solo.
   Dicevo, dunque, che, arrivate alla chiesa, le signore infilavano subito la porta. I signori, invece, se ne salivano sulla loggetta del romitorio, e là facevano due chiac-
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