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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   di cartelli, era pittore di palili, e nei pallii non andava scritto nulla. In questi egli era veramente maestro. Non sempre, però, quelle bestiacce di contadini la volevano intendere. Una volta egli venne a questione con un deputato di festa, appunto per un pallio, mi pare di S. Antonio. II deputato sosteneva che le guance del santo erano troppo rosse, tanto che pareva avesse bevuto; e non voleva accettare il lavoro. Il povero don Abbondio, che oltre a dover combattere a volte coi contadini, combatteva sempre colla fame, cercava di difendere come poteva l'opera sua; ma il contadino, duro. Finalmente, non so se spontaneamente, o per consiglio di qualcuno, pensarono di rimettere a me il giudizio, a me che essi ritenevano capace, perchè avevo già fatto qualche anno di studii in una città vicina. Vennero; e don Abbondio, dopo avermi esposto con non poche difficoltà per le furiose interruzioni del contadino, tutta la questione, svolse davanti a me il rotoletto della tela. Io guardavo sorridendo con benevolenza ; e, pensando alla fame di don Abbondio, appoggiavo le sue ragioni. Il contadino, ostinato, si rassegnava male anche al mio giudizio ; e, allora, don Abbondio, con l'aria di chi parla a chi se n'intende al pari di lui: — Questo signore, — mi disse, accennando il contadino e alludendo alle guance rosse di S. Antonio, — questo signore non sa eh' io seguo la scuola fiamminga. — Scuola fiamminga, era per lui la scuola delle fiamme e dei colori accesi.
   II contadino vinto e sconcertato da quelle parole misteriose, fini per accettare il quadro, e, per quella volta, o, meglio, per quel giorno, don Abbondio fu salvato dalla fame. Ma non andò molto, e seppi che egli, poveretto, in un momento di delirio e di disperazione, stretta tra le braccia l'unica sua figliuola, oramai quasi giovinetta,