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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   s'era gettato da una finestra: lui era morto sul colpo e la figliuola era rimasta storpia per sempre.
   La mattina della festa, i tamburi, la gran cassa e uno o pił fischi davano, per tempo, il segnale della solenne ricorrenza : questa era la musica : di bande, allora, ce n'erano poche e, appunto perchč rare, pretendevano d'esser pagate bene. Solo ogni dieci o quindici anni, con somme via via pazientemente risparmiate, si poteva chiamare una banda.
   I tamburi facevano il giro dei villaggi; e tutti, destandosi a quel fracasso indiavolato, si sentivano aprire il cuore al lieto pensiero degli abiti nuovi che dovevano indossare, e al desinare pił ricco e odoroso del solito che li attendeva: desinare, che, nelle case pił agiate, era annunziato anch' esso fin dall' alba, dai colpi della mezzaluna che preparava il battuto, o tritava la carne per le polpette, o da un acuto odore di soffritto.
   Tra quei tamburieri ce n'erano a volte veramente dei bravi: i pił avevano servito come tamburini nell'esercito. Bisognava sentire che agili rulli, che colpi secchi e robusti a tempo e luogo; e come balzava, a quei tocchi gagliardi, il cuore e i fianchi delle contadine, desiderose che venisse l'ora della saltarella ! Ma nessuno possedeva con tanta sicurezza tutte le sonate tradizionali, nessuno era pił esperto maestro del tamburino soprannominato, non so perchč, il Turco. Questo Turco, oltre che per la sua bravura nel maneggiar le bacchette, aveva acquistato una straordinaria celebritą per una sua quasi incredibile piova di sangue freddo.
   Una notte, tornando da non so che paese, dove era stato a sonare per non so che festa, gli accadde, mentre seguiva con l'occhio atterrito le brune siepi, i bruni alberi, e i lontani monti e le colline, che gli danzavano intorno,