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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   di parata; l'altra veniva eseguita all'elevazione; e l'ultima, nel momento della confusione dell'uscita; ed era spesso condannata ad accompagnare le parole che i giovinetti facevano scivolare sui seni, o insinuavano tra i capelli delle belle ragazze, e non sempre le parole soltanto. Ma la sonata di cui io serbo memoria più viva, è quella dell'elevazione: essa incominciava timida e vergognosa ; poi, a poco a poco, si faceva sempre più coraggio e si alzava, si alzava come fa il canto dell' usignuolo, fino a toccare altezze vertiginose; quando era al colmo, trrum! discendeva repentinamente, precipitando in rovina. Poi riprendeva da capo la salita; e così via, per tutti quei minuti di solennità e di raccoglimento. Intanto, giù in chiesa si sentivano i terribili colpi dei pugni che si sferravano da se stessi sul petto i contadini; le campane sonavano tutte a distesa ; i tamburi, il fischio e la gran cassa non volevano in nessun modo rassegnarsi a lasciarsi vincere dalle campane; e, mentre il fischio si faceva, coi suoi sibili, le più alte beffe di loro, i tamburi e la gran cassa ordinavano il bombardamento. E triplicate file di castagnole e di mortaretti eseguivano spietatamente quegli ordini truculenti coi rabbiosi loro scoppii, che facevano sobbalzare fino i cocomeri di donna Maria Giuseppa.
   Dopo la messa, aveva luogo la processione; tamburi avanti, e stendardi rossi, bianchi, azzurri, spiegati al vento; e via a passo di marcia per quelle belle strade di campagna, ombreggiate da siepi lussureggianti e da antiche e buone quercie pensose. Al parroco non piaceva di perder tempo: mezzo giorno s'avvicinava; bisognava poi tornare indietro, svestirsi, dare delie disposizioni; e avrebbe dovuto far aspettar troppo per il pranzo la fami-miglia che l'aveva invitato. Le povere statue che prendevano parte alla processione, non parevano approvar