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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   cavallo davanti a una casa, dove parimenti mi avevano più volte invitato a recarmi presto, potei, dalla strada, cogliere con una rapida occhiata la padrona di casa che, nell'interno della stanza, si afferrava le tempie col classico gesto della più desolata disperazione. Spesso, in molte case, che soggiacciono al tormento di dover vivere in apparenza signorile, non c'è da comprare una libbra di carne ; il vino migliore è stato venduto, e quello che resta, se ne resta, è acido o sa di muffa.
   Questo frequente, angoscioso stato di miseria, il quale nasce soprattutto dal pregiudizio che il lavorare, il commerciare, il coltivare i campi, l'industriarsi in qualche modo siano occupazioni umilianti e vergognose per un proprietario, fa sì che tutti diano una caccia accanita alle eredità, unico conforto, unica speranza, unica fonte di salvezza. Un mio amico soleva dire che, dalle mie parti, quando un bambino apre gli occhi alla luce, per prima cosa dà uno sguardo ai quattro punti cardinali per assicurarsi se c'è una qualche eredità in vista; e, se non c' è nulla, si dà a piangere perdutamente, e nessuno riesce più a consolarlo. Si fa fondamento sugli altri, assai più che su se stessi ; e molti, leggermente, iniziano imprese che non si sa come possano essere condotte a termine; e, quando per mancanza di forze avviene l'ar-renamento, ecco sorgere la violenta pretensione che parenti più agiati e più giudiziosi vengano in soccorso. É ancor lontano, troppo lontano il tempo in cui trionfi il principio che ogni uomo sano ha il dovere di bastare a se stesso, e che le speSe di ciascuno debbono essere proporzionate alle rendite e ai guadagni. Si vive con due lire al giorno come con dieci. Chi del figlio non può farne un medico, ne fàccia un buon operaio e un buon agricoltore, e viva in pace. Ma, nossignore: una famiglia