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a cura di Federico Adamoli Aderisci al progetto!
plari a stampa di calligrafia, mi segnava le lettere con tanti piccoli punti fatti con la sua penna di tacchino e io dovevo ripassarli con la manuccia tremolante. Ma presto dovei lasciare quella scuola, perchè la mia famiglia, per paura dei briganti, fuggì a Teramo, capoluogo della provincia. Là ebbi un nuovo maestro soprannominato il Corallaro, perchè da giovane aveva fatto il negoziante girovago di coralli. Egli portava sempre la tuba e aveva una di quelle facce di cui è difficile stabilire l'età e che a trenta anni sono le stesse che a sessanta : camminava un po' curvo, il viso acceso e rigonfio come per effetto della cravatta stretta attorno al collo. Con lui leggevo il Galantuomo di Cesare Cantù, — di cui non è ultimo merito l'avere per il primo forse in Italia pensalo un libro che parlasse ai ragazzi un linguaggio elevato e facile, — insieme a molti compagni di scuola, forse una ventina. Ogni sera andavamo a passeggio fuori della citta e mi ricordo bene che il maestro ci faceva spesso fermare davanti a un funaio che intrecciava le sue funi camminando all'indietro. — E vedete, — ci diceva, — così fate voialtri: invece di andare avanti, andate all'indietro. — Noi guardavamo con occhi sbarrati e bocche aperte, assai più attenti alla figura e ai movimenti del funaio, alle sue braccia robuste pelose ed alla stoppa che alla comparazione del maestro. Un giorno che i miri genitori dovettero andare a Canzano, paese nativo di mia madre, mi lasciarono per tutto il giorno in casa del maestro; e io mangiai con lui e una sua sorella lunga, magra e verdastra. Mi pare di risentire ancora l'odore delle triglie guaste che mi passarono, le quali divide-vansi dalla lisca e cascavano a pezzetti.
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