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a cura di Federico Adamoli Aderisci al progetto!
tribuisse a rinvigorire la sua fama, che ogni tanto minacciava di languire per l'accusa che alcuni gli facevano di non saper bene il greco, lingua che egli insegnava. £, in verità, il greco egli non lo sapeva. Si preparava sulle traduzioni che imparava a memoria, perchè io credo che riuscisse a stento a metterle in vera e propria relazione col testo. I giovani, nei primi tempi, non se ne accorgevano, e dicevano, sì, che egli non sapeva la grammatica, ma ritenevano, d'altra parte, che egli possedesse un sì felice intuito, una sì meravigliosa disposizione per le lingue in genere e per il greco in ispecie da potere indovinare e tradurre esattamente le forme anche senza conoscere la grammatica. Quando doveva fare l'analisi del testo, si trovava veramente imbarazzato e cercava di cavarsela come poteva. Domandava a qualche giovane, scegliendolo tra i migliori : — Dica Lei (a Firenze aveva imparato a dare del lei), dica Lei : Che tempo è e che modo è questa voce di verbo? — Signor maestro, è aoristo del congiuntivo, — rispondeva subito l'alunno. — No, — sorgeva a dire un altro, — è presente dell'ottativo. — È imperfetto dell'indicativo, — veniva fuori ancora un altro. — Egli guardava smarrito ora a destra ed ora a sinistra: faceva delle smorfie col viso come se volesse dire: — Sì, può esser l'uno come l'altro: per me è lo stesso: potete aver tutti ragione. — Ma poi finiva col dar ragione sempre al più bravo di tutti. A poco a poco i giovani arrivarono ad avvedersi del giochetto. Indebolendosi in lui con gli anni la memoria, egli cominciò a non imparare più a mente la traduzione del passo greco, ma a portarla copiata in un piccolo foglio che, al momento di dover tradurre, metteva con destrezza in mezzo ad un vocabolario che teneva aperto e quasi ritto sulle proprie gambe e col dorso appoggiato al tavolino.
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