Stai consultando: 'Colledara - aggiuntovi: Da Colledara a Firenze', Fedele Romani

   

Pagina (146/336)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (146/336)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Home Page]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   subito i miei fratelli. Cercavano di farmi carezze e d'infondermi un po'd'allegria; ma io, ora che le distrazioni del viaggio erano finite, e ora che la mèta di esso non era più un ideale, un sogno, ma una realtà, cominciavo a sentirmi sconfortato. Lo zio non era il babbo: i fratelli erano più compassati e freddi che a casa, ed erano vestiti da seminaristi: rispondevano allo zio con sissignore, nossignore; e di lui mostravano di avere molta più soggezione che non avessi io.
   Poi, essendo io ancora troppo piccolo per entrar subito in Seminario, mi accompagnarono in casa dello zio, dove regnava Rituccia. Allora l'immagine di mia madre mi si presentò in tutta la sua vivezza; e insieme con essa il pensiero della casa, del mio lettuccio, dei conta-dinelli che io conoscevo, e fino degli animali domestici : la giumenta, i gatti, i piccioni fecero sentire nel mio cuore le loro voci, e ne fui profondamente intenerito. Restai solo con Rituccia: guardavo quella faccia di vecchia pinzochera, che aveva ai due lati del naso, poco sopra alle narici, due piccoli solchi prodotti dalle lenti che vi soleva incavalcare, quella sua persona curva e magra, e pensavo alla formosa e fiorente figura di mia madre. Guardavo il fuoco, e mi sentivo immiserire l'animo davanti a quei poveri stecchi fumicanti tra la cenere, io che èro abituato agli allegri fuochi di montagna, a quei poderosi tronchi di quercia sotto quell'ampia cappa di camino, con quella cucina così pulita ed odorosa e ricca di ogni ben di Dio; e dalle finestre si vedeva d'ogni parte il verde e la campagna, e si sentivano cantare gli uccelli e le contadine. Quella tetra casa canonicale con quel misero malinconico giardinetto che languiva fra le alte case nere, quella voce di Rituccia, la quale si era fissata di dovermi educare lei, che non aveva nessuna