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a cura di Federico Adamoli Aderisci al progetto!
educazione, di dovermi rimettere sulla buona strada, specialmente in fatto di religione e di fede, quella gretta misura in tutto, nel pane, nelle porzioni delle vivande, nelle frutta, così in contrasto con l'abbondanza campa-gnuola che regnava in casa mia, mi facevano cadere in uno stato di vera desolazione. A poco a poco, del resto, cominciai, con la facilità di adattamento propria dei bambini, a sopportare quella vita; ma l'adattamento non era progressivo e continuato, perchè ogni tanto veniva interrotto da accessi della più cupa malinconia e da tacite e profonde lacrime. Rituccia non aveva in mente che rosarii e preghiere: la sera stessa del mio arrivo dovei subito dire il rosario; e, d'allora in poi, ogni sera, il rosario. Quando Rituccia mi vedeva un po'indolente: — Vieni, vieni qua, — mi diceva, — anima nera, vieni a far la legge di Dio. — Quel nome di anima nera io non lo sapevo tollerare e me ne rattristavo profondamente. Non sono ancora molti anni che, tra le carte del mio povero padre, ritrovai una mia letterina di quel tempo, nella quale mi lamentavo coi genitori perchè Rituccia mi chiamava anima nera. La lettera non conteneva altro; e l'averla io scritta apposta indicava quanto dovesse esser forte la mia stizza e il mio dolore. Intanto non tardarono a venir le busse di mio zio. Le busse allora erano, come tutti sanno, ritenute il più efficace mezzo di educazione, benché il più delle volte, più che in via di correzione, esse erano date per libidinoso sfogo di rabbia e di ferocia. Capitava spesso che esse fossero date del tutto ingiustamente pur mettendosi dal loro punto di vista. Una sera d'inverno, io ero a scaldarmi vicino al fuoco, e sul fuoco Rituccia aveva messo a cuocere due uova in un tegamino. A un tratto, si sente sfrigolare come quando nell'olio bollente cade una goccia d'acqua. Rituccia, che non sapeva dare altra
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