che io chiamerei a torciglioni. Mi girava la pelle come si farebbe con la chiave nella toppa. E io avevo le braccia sempre orribilmente maculate e nere. Alle mie prime vacanze, quando fui tornato a casa, mia madre, allo scoprire quello strazio, si mise a piangere.
Ordinariamente mi faceva scuola don Domenico Vecchioni, ma alcune volte, come per spasso, mi dava qualche lezione anche mio zio. Non so come mai, un giorno, si mise in testa che io dovessi dire il presente del verbo essere a rovescio : coloro sono, voi siete, noi siamo.... Io non potevo in nessun modo riuscire: lo zio si arrabbiava, e
10 sempre più mi persuadevo che non sarei mai riuscito nell'impresa. Egli voleva vincere ad ogni costo e tentò tutte le vie, ma io duro: ormai c'entrava anche una specie di persuasione puntigliosa, e non c'era più da sperar bene. Lo zio, arrabbiato, sfiduciato: — Va'via, — mi disse — io non ti voglio più vedere. — Non mi assegnò più nessuna lezione e mi lasciò girare, come io volevo, per i corridoi del Seminario. Mi pareva di essere in paradiso. Credetti sul serio che quella maledizione della scuola fosse finita per me, e che ormai io sarei stato libero di fare tutto quello che avrei voluto. Acchiappavo, con la mia solita infallibilità, le mosche, e le incollavo per le ali sotto scorpioni di carta nera, che io poi godevo a veder gironzolare su per i muri, e far correre i camerieri per ammazzarli. Avendo una certa inclinazione al disegno, mi divertivo a far la caricatura dello zio e di don Domenico Vecchioni. Insomma, una vera beatitudine. Ma, mentre immaginavo di dover essere felice per sempre, dopo due o tre giorni mi sentii chiamare:
— Fedele! — Era lo zio: corsi da lui e: — Vediamo,
— egli mi disse, — vediamo se hai finalmente imparato
11 verbo a rovescio; — e ricominciava a tormentarmi.