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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   le rose. Paiono cosa divina e nel massimo fiorire della bellezza nessuno osa di pensare a sposarle: esse paiono nate all' amore, ma non al matrimonio. E dall' altra parte la coscienza della propria bellezza dà a loro una certa naturale alterigia che le porta a sognare un compagno al di sopra della comune natura e disdegnano le profferte d'amore di chi noi sogliamo chiamare un uomo come gli altri. Intanto la bellezza si attenua e passa, la realtà della vita si presenta con tutte le sue crudezze, le ristrettezze della famiglia, il bisogno di farsi una posizione e di emanciparsi dai fratelli porta la necessità del matrimonio, e la bellissima dea davanti alla quale s'inchinan la terra e il cielo, se non vuol languire in un'eterna solitudine diverrà moglie d'un agente delle imposte, d'un brigadiere a riposo, d'un impiegato all' ufficio delle ipoteche. E tutta la poesia che emanava dalla persona divina? Essa è un ricordo, un doloroso ricordo. Nessun maggior dolore.... Se il marito sapesse leggere nelle voglie della moglie, in ognuna di esse troverebbe il cadavere d'un vecchio poema d'amore.
   Dunque io tornai in Atri, ripresi gli studii interrotti, gli studii ufficiali, perchè come io ho detto la mia mente nel tempo passato a Colledara non era rimasta certo in riposo. Questa volta fui fatto entrare regolarmente in Seminario e indossai l'abito di seminarista. Percorsi la media facendomi sempre più studioso e passai all'umanità migliorando sempre e riuscendo ad essere se non assolutamente il primo della classe, certo uno dei primi. Lo zio ne era contento. Col Martelli si studiava bene il latino e i migliori di noi riuscivano a improvvisare quasi gli esametri e i pentametri e conoscevano a menadito le regole di prosodia. L'insegnamento, l'ho già detto, era in generale misero e monco, ma lo studiar bene per