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a cura di Federico Adamoli Aderisci al progetto!
marcie guerresche che facevano lampeggiare nei nostri sguardi desideri vaghi e indefiniti, ma violenti, di battaglie, di amore e di gloria. La stessa S. Reparata d'argento col suo viso lieto e luccicante pareva volesse dire che quello che udiva e vedeva in quel momento era più bello del paradiso. E gli stendardi verdi, azzurri, rossi sorridevano e parlavano con l'aria e col sole; e al di sopra d'ogni canto e d'ogni suono, sull' alta torre sonava a distesa la campana grande, avviata dallo sforzo riunito di quattordici braccia nervose di contadini. Quella campana sonava soltanto nelle solenni occasioni: essa parlava solo per dire cose grandi e sublimi, il suo linguaggio non poteva piegarsi a comuni pensieri. Nei giorni solenni essa spandeva all'aria la lunga commozione repressa e parlava con la voce del cannone che annunzia la battaglia, e in ogni nota della sua cupa voce di metallo c' era il muggito di cento tuoni e i suoi due tocchi, quello esterno più aperto e minaccioso e quell'interno più sordo e raccolto, segnavano come il ritmo profondo d'una respirazione titanica. Quand' ero bambino, il suono di quella campana m'infondeva lo stesso terrore che m'incuteva la voce sdegnata e minacciosa di mio zio; quella campana era come una ideale trasformazione della personalità morale e intellettuale di mio zio, piena di severa profondità misteriosa. Quando dalla camera di mio zio la vedevo pendere accigliata nei suoi lunghi periodi di quiete, in pensoso silenzio nel quale si maturava lentamente la sua sublime terribile parola, io pensavo al silenzio torvo e minaccioso di mio zio, silenzio che maturava il mio castigo e il mio spavento. La campana grande parlava soltanto nei giorni e nelle solennità degne di lei. Le altre volte essa come un re si faceva rappresentare dai suoi tre ministri che gli facevano corte negli altri tre
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