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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   dicasse la via da seguire : il discorso durò a lungo e la conclusione fu che, secondo lui, tutto mostrava chiaro che Iddio mi chiamava alla via ecclesiastica. Io stavo a sentire col berretto da seminarista in mano e a occhi bassi; e quando lo zio finì di parlare e rimase con l'aria interrogativa di chi attende una risposta, io ebbi il coraggio di cui anche oggi mi maraviglio, ebbi il coraggio di rispondere che, al contrario di quello che egli credeva, non mi sentivo nato per fare il prete. Dette queste parole ebbi un coraggio ancora più grande, quello di guardarlo per un istante in faccia, e mentre io m'immaginavo di vederlo accigliato e turbinoso, lo vidi invece con un'aria così profondamente sconfortata che ebbi per un momento dolore e vergogna d'esserne stata la causa. Egli sospirò e mi licenziò raccomandando di tornare a meditare bene sulla mia vocazione e aggiunse che la vocazione non poteva nascere da sè, che bisognava saperla destare con la fiducia e la buona volontà. Io me ne andai pensoso; ma insistevo nel credere di non esser nato per fare il prete.
   Un po' meno noiosa della messa giornaliera era quella della domenica che era seguita dall'ufficio cantato da tutti i seminaristi divisi in due schiere, grandi e piccoli che alternavano il canto. Ci si metteva un certo impegno a cantare bene e a fare un bell'accordo. Impegno speciale mettevano quelli che cantavano gli a solo e d'ordinario erano i più grandi; essi alzavano molto la voce e la fiorettavano, nella speranza, poiché le finestre della cappella rispondevano sulla piazza, che potesse essere sentita ed ammirata da qualche orecchio gentile appartenente a qualcuno di quei visi che si vedevano alle finestre nel glorioso percorso delle processioni. Spesso mentre il canto guidato dal Vicerettore o dal Censore era nel suo