dovinare la causa di quell'imbarazzo e cominciavano a soffrire per lui. Ma ecco che egli estrae piano piano dalla tasca una carta piegata. — Sarà la predica — pensarono i più svelti: gli altri non capivano. Egli aprì lentamente la carta come per leggervi dentro; ma d'un subito invece di leggere, gettò la carta giù in chiesa, dicendo al pubblico: — Vedete: proprio nel momento che io facevo la predica sui giudizii temerarii, voi ne avete fatto uno : voi avete creduto che io avessi dimenticato la predica: invece, no ; guardate : nella carta non vi è scritto nulla. —
n pubblico restò maravigliato e disgustato di quella pulcinellesca novità. Alcuni risero, i più dissero o pensarono che il predicatore era un imbecille.
Contro quest' uomo io avevo dunque scritto una satira in terzine che cominciava con giovanile e spensierata esagerazione
Vero disdor della chiercuta gente
La satira era nota solo a uno o due miei amici e io non ci pensavo quasi più, quando tutto a un tratto, per invidia delle mie gloriole artistico-letterarie, essa fu il pugnale di cui si servi per ferirmi uno di quelli che pareva essere tra i miei amici più intimi. Ne fece una copia, l'insinuò facendola passare sotto la porta chiusa nella camera del Vicerettore; la copia era senza nome, ma il colpevole sapeva bene che il mio nome sarebbe venuto fuori; e venne fuori infatti. Il dispiacere di mio zio dovette essere grande soprattutto perchè la mia scappata colpiva una persona che egli non riteneva sincera e forse considerava come persona ipocrita e pericolosa. Io fui scacciato dal Seminario e venne mio padre per riportarmi a Colledara. Ma lo stesso Vicerettore intercedette quasi piangendo in mio favore; e io rientrai dopo pochi