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a cura di Federico Adamoli Aderisci al progetto!
riconosceva egli stesso, e se ne lamentava un giorno con me negli ultimi anni della sua vita. Faceva leggere il greco senza tener nessun conto degli accenti; ma soltanto dove si poteva, della lunghezza o brevità della penultima. Ma quali che si fossero le sue deficienze, questi era un uomo che meritava e incuteva rispetto. Noi lo chiamavamo tra noi lu belle mi' (il bello mio) rifacendo un affettuoso appellativo dialettale che egli usava cogli scolari : spesso parlava in dialetto o in un italiano dialettale. Ma c'erano anche a Teramo i professori patrioti che facevano delle chiacchiere e non insegnavano nulla e quando s'avvicinava il tempo degli esami facevano scegliere a ognuno un passo del programma e su quello soltanto doveva prepararsi ed era interrogato poi agli esami. Mi ricordo ancora il lungo discorso che fece uno di questi professori per farci capire senza volerlo dir chiaramente quello che si doveva fare; e che la materia era senza limiti e che ciascuno aveva le sue particolari disposizioni a comprendere e ritenere una parte più che un'altra e che questo e che quest'altro. Noi strizzavamo gli occhi e soffocavamo le risate. Seguendo il desiderio del maestro, ciascuno di noi scelse un passo del programma in modo da abbracciare fra tutti, tutta la materia; ed era curioso vedere le esercitazioni assidue del professore per addestrarsi con tale domanda o tesi, col tal nome d'alunno in modo da non cadere in qualche imbroglio agli esami e destare uno scandalo, perchè lo scolaro bocciato, con la feroce leggerezza dei ragazzi ne avrebbe certo preso vendetta. Mentre duravano queste sue penose e ridicole esercitazioni accadde un fatto che lo riempi di gioia e fu un saggio della giustizia delle cose umane. Al Ministero pare fossero arrivati dei lamenti sul modo d'insegnare di questo professore e incaricò il provveditore
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