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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   e ridendo a crepapelle. L'ultima raccomandazione che ci fece fu di cercar sempre d'infinocchiare il prossimo il meglio che si poteva. Non era lui il solo ad assegnare la lezione per l'esame; ma nessuno io faceva con tanta disinvoltura e con tanta imperterrita protervia.
   L'indulgenza e diciamo pure la prostituzione a cui si sentivano costretti i maestri ignoranti o pigri e indolenti che erano i più si estendeva fino ad un certo punto anche a quelli che, più o meno, sapevano e insegnavano qualche cosa, e così tutto l'istituto prendeva un tono di vacuità e di leggerezza, al quale s'informavano volentieri gli scolari e con la loro innata petulanza, per quanto era in loro, l'accrescevano. Così gl'istituti privati e specialmente i migliori, per quanto essi stessi fossero così ricchi di difetti, guardavano dall' alto in basso quei tisici figli della rivoluzione.
   Nel nuovo ambiente dove mi ritrovai uscito dal Seminario studiai poco, e mi uniformai, benché non del tutto, alle liete abitudini degli altri. Conquistai facilmente tra i compagni e anche tra i maestri una certa gloriuzza di poeta e col nome di poeta più che con quello di Fedele o di Romani mi chiamavano i compagni; io n'era contento e spesso perdevo il mio tempo improvvisando versi. Ne componevo anche, e il mìo professore d'italiano volle far pubblicare alla fine del primo corso nel giornale di Teramo < La provincia » un sonetto da me composto. Il soggetto me l'aveva dato egli stesso ed era per monaca. E fu la prima cosa che io pubblicassi. A istigazione e preghiera d'un canonico di Atri nostro lontano parente che faceva gran conto della mia disposizione all'arte, lo zio s'indusse a permettere che io studiassi disegno e mi assegnò per questo la somma di cinque lire mensili. Con questa moneta, a dir la verità non lauta,