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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Ferrucci correggeva a penna, e poi restituiva. La volta seguente, i più riportavano la traduzione della volta precedente, messa al pulito, e includevano nella copia le correzioni del maestro. Ognuno crederà che il Ferrucci trovasse corrette quelle traduzioni già rivedute da lui. No ; le parole, le frasi contro le quali egli inveiva con più alti strilli erano proprio quelle introdotte da lui. Questo non poteva certo contribuire a rafforzare la nostra fede nel suo latino. A volte, mentre egli si scagliava contro gli spropositi, qualcuno di noi si alzava, e, con aria impensierita e sdegnata nello stesso tempo:
   — Professore, — diceva, — io son ben meravigliato che un alunno della Scuola Normale Superiore possa commettere strafalcioni così madornali. Io mi vergogno di essere suo compagno! —
   Allora il professore lasciava d'inveire contro gli spropositi e con più veemenza insorgeva contro l'insolente burlone :
   — State zitto voi! Sedete: voi siete un superbo, un arrogante! —
   Ma l'arrogante non si dava per vinto, e fingeva di sdegnarsi sempre più contro l'ignoranza dei compagno, che rispondeva per le rime e rideva sotto i baffi. E cosi, tra gli strilli del maestro, le proteste degli scolari contendenti e gli urli e le risate degli spettatori, nasceva un putiferio che non finiva più e mandava all'aria la lezione: quod eroi in voti».
   I corsi di lettere erano poco affollati, e sembravano, per il numero, piuttosto scuole di liceo che di università. Il Ferrucci ci conosceva tutti di viso e di nome, e notava subito le assenze. Se trovava fuori quelli che le avevano fatte, lì fermava e si lamentava. Un giorno, toccò a me a essere scoperto: mentre passeggiavo lung'Arno, ecco il