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Colledara
- aggiuntovi: Da Colledara a Firenze
Fedele Romani
R. Bemporad & Figlio, 1915, pagine 335

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   Ferrucci che si viene avanzando, e mi vede prima che io avessi il tempo di svignarmela. Con un rapido movimento alzai il bavero del pastrano (era d'inverno) e mi avanzai con la persona tutta ristretta e raccolta. — Oh Dio! (era l'esclamazione o, meglio, lo strillo favorito dal Ferrucci) oh Dio! Romani,.perchè stamattina non eravate a lezione? — Ed io, con voce rauca e bassa: — Professore mio, questa temperatura settentrionale è troppo rigida per me che sono nato nel Mezzogiorno: non so come andare avanti: sto male. — Tutti sanno che il clima di Pisa è mitissimo e che gli Abruzzi sono paesi montuosi e freddi; ma il Ferrucci viveva fuori del nostro mondo; e, con voce intenerita, congedandomi affabilmente : — Povero giovane! Abbiatevi cura: non uscite, non uscite (dava sempre a tutti del rot), state in casa. La salute prima di ogni cosa. — E qui ebbe il coraggio di aggiungere: — Meglio un asino vivo, che un dottore morto. — Poche ore dopo, dovei andare a trovarlo nella Biblioteca dell' Università, della quale egli era il bibliotecario, per farmi dare un libro. Era con lui il professor Landi, direttore della Clinica medica. Appena il Ferrucci mi vide di nuovo col bavero alzato e con l'aria freddolosa: — Guardate, — disse, rivolto al Landi, — guardate questo povero giovine : pare un Ercole e muore dal freddo. — La causa di quell' insistenza era che egli aspettava di sentirsi dire dal medico: — Ma non tutti sono robusti come lei, che, alla sua età, da vero eroe di Curtatone, non sente nè freddo nè caldo. — Il Landi girò l'occhio lentamente verso di me e mi esaminò un poco, mentre un sottile risolino d'incredulità gli guizzava tra i baffi.
   Qualcuno potrebbe credere che questa semplicità e ingenuità del Ferrucci fosse conseguenza naturale della